La Fondazione Aiace ringrazia tutti i 27 partecipanti del Premio Aiace 2020 e la Commissione Scientifica per il lavoro di valutazione svolto.
Di seguito il dettaglio del risultato del Premio e la graduatoria completa.
Dott. Dorian Forte – Vincitore
Tumori maligni insorgenti prevalentemente in età pediatrica
Dipartimento di Medicina Specialistica Diagnostica e Sperimentale (DIMES) Università di Bologna
IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna
Bone Marrow Mesenchymal Stem Cells Support Acute Myeloid Leukemia Bioenergetics and Enhance Antioxidant Defense and Escape from Chemotherapy
Cell Metabolism
Siamo abituati a pensare al tumore come a un’entità estranea e isolata che aggredisce il nostro organismo. Al contrario, le cellule tumorali sono “individui sociali” che interagiscono con l’ambiente circostante, propriamente definito microambiente. È il caso della Leucemia Acuta Mieloide (LAM), una neoplasia che origina da un piccolo gruppo di cellule staminali leucemiche in grado di sfuggire alla chemioterapia. Tali cellule sono responsabili della ricaduta della malattia.
Per combattere l’elevato rischio di ricadute, il nostro lavoro di ricerca si è focalizzato sullo studio delle interazioni fra cellule staminali leucemiche ed il loro microambiente, una sorta di “santuario” costituito da una particolare frazione di cellule staminali mesenchimali (MSC). Queste cellule, identificate dall’espressione del marcatore nestina e che abbiamo scoperto essere aumentate nei pazienti leucemici arruolati per il nostro studio, si sono rivelate promotrici di alcuni meccanismi d’evasione del tumore in risposta alla chemioterapia.
Uno degli aspetti fondamentali nello sviluppo di nuove terapie riguarda i possibili effetti della chemioterapia sulla cellula staminale leucemica. La chemioterapia danneggia la cellula leucemica e può creare un ambiente ossidante ricco di radicali liberi tossici. In risposta a questo stress ossidativo, le MSC inducono le cellule leucemiche ad adattare il proprio metabolismo energetico e ad attivare potenti sistemi antiossidanti. In altre parole, le MSC del microambiente educano le cellule leucemiche a diventare resistenti alla chemioterapia e, quindi, ancora più aggressive. L’aspetto cruciale della nostra ricerca è stato comprendere come il microambiente (in particolare, le MSC) eserciti questo effetto e protegga la cellula leucemica dalla chemioterapia.
A questo proposito, mediante l’impiego delle più recenti tecniche di analisi biomolecolari, abbiamo dimostrato che la chemioterapia può innescare difese antiossidanti grazie all’interazione con le cellule MSC. Inoltre, in modelli murini di LAM, abbiamo scoperto l’insorgenza di nuovi meccanismi di farmaco-resistenza mediati dal microambiente e legati al metabolismo. Così, in vivo, abbiamo sviluppato un singolare schema terapeutico combinando l’azione della chemioterapia classica con un inibitore (BSO) della sintesi di una potente molecola antiossidante, il glutatione. Con grande sorpresa, l’utilizzo del BSO prolungato anche dopo la chemioterapia si è dimostrato più efficace nel potenziare gli effetti benefici della chemioterapia aumentando la sopravvivenza libera da leucemia dei topi trattati. Questo studio innovativo, se confermato da ulteriori ricerche, può avere un impatto diretto in ambito clinico, guidando lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici per i pazienti con LAM, colpendo non solo la cellula staminale leucemica ma anche il loro microambiente.
Dott. Giuseppe Lamberti – Menzione
Il cancro del polmone è il tumore con la più alta mortalità al mondo e meno del 15% dei pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi. L’immunoterapia con farmaci denominati “inibitori dei checkpoint immunitari” stimola il sistema immunitario dell’ospite a combattere il tumore con risultati eclatanti, generando in una parte dei pazienti risposte durature e lunghe sopravvivenze, anche senza chemioterapia. L’identificazione dei pazienti che beneficiano dell’immunoterapia si basa sulla presenza, o espressione, sulle cellule tumorali di una proteina chiamata PD-L1 che è il bersaglio di alcuni inibitori dei checkpoint immunitari. In generale, quante più cellule tumorali esprimono PD-L1 tanto maggiore sarà la probabilità che il paziente benefici dell’immunoterapia.
L’espressione di PD-L1 sulle cellule tumorali è molto variabile e i meccanismi che la regolano nel tumore del polmone sono ancora sconosciuti. La comprensione di questi meccanismi permetterebbe di studiare delle strategie per aumentare la presenza di PD-L1 sulle cellule tumorali e rendere il tumore del polmone più suscettibile all’immunoterapia e, di conseguenza, a più pazienti di beneficare di questo rivoluzionario trattamento.
Lo scopo della ricerca che abbiamo condotto è stato proprio di individuare i fattori clinico-patologici e genetici correlati ai diversi livelli di espressione di PD-L1 nel tumore del polmone, confrontando i tumori che non esprimevano PD-L1 con quelli che invece presentano elevata espressione di PD-L1. Dall’analisi di oltre 900 pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule non squamoso seguiti presso il Dana-Farber Cancer Institute di Boston è emerso che l’elevata espressione di PD-L1 era associata alla storia di fumo di sigaretta, ad una maggiore estensione di malattia alla diagnosi, a tumore del polmone di tipo non-adenocarcinoma, e ad un maggiore carico mutazionale del tumore. L’assenza di espressione di PD-L1 era associata a mutazioni nei geni EGFR, STK11, APC, CTNNB1 e SMARCA4, e ad amplificazione dei geni residenti sul braccio lungo del cromosoma 1. La riduzione o l’incremento del numero di copie dei geni presenti sul braccio corto del cromosoma 9, che contiene i geni che codificano per PD-L1, PD-L2 e JAK2, era associata ad espressione di PD-L1 assente o elevata, rispettivamente.
È interessante notare come APC e CTNNB1 (Beta-catenina) facciano parte della stessa via di trasduzione del segnale e che siano in studio delle strategie per colpire questi bersagli. L’individuazione dell’associazione tra grado di espressione di PD-L1 e queste alterazioni genetiche potrà aiutare a sfruttarle per migliorare l’efficacia dell’immunoterapia in pazienti affetti da tumore del polmone.
Dott.ssa Elisa Caiola – Menzione
I risultati dello studio presentato, coordinato dal Laboratorio di Farmacologia Molecolare dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS con il sostegno dell’Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro (AIRC), dimostrano che un sottogruppo di tumori polmonari con prognosi estremamente sfavorevole potrebbe essere positivamente trattato utilizzando farmaci che bloccano la proteina ERK. I dati sono stati pubblicati nel 2019 sull’autorevole rivista Journal of Thoracic Oncology (Impact Factor 13.357), giornale ufficiale dell’Associazione Internazionale degli studi sul tumore del polmone (IASLC). Il lavoro scientifico inerente alla ricerca, dal titolo ‘LKB1 Deficiency Renders NSCLC Cells Sensitive to ERK Inhibitors’ è uno dei documenti presentati.
I tumori maligni del polmone rimangono uno dei tumori a più alta incidenza e causa di un numero rilevante di decessi in Italia e nel mondo. Diverse sono le alterazioni a livello del DNA che caratterizzano questo tumore, e tra i geni più frequentemente mutati vi sono KRAS e LKB1. I tumori con mutazioni a carico di KRAS e LKB1 sono tra i più aggressivi e con una prognosi estremamente sfavorevole anche perché nessuna terapia a bersaglio molecolare è al momento disponibile per questi pazienti. Le mutazioni a carico del gene LKB1 sono state inoltre recentemente descritte come dei determinanti negativi di risposta all’immunoterapia, che nel tumore al polmone ha rappresentato una rivoluzione nel trattamento dei pazienti. I pazienti con mutazioni in KRAS ed LKB1 necessitano quindi di una terapia specifica, che ad oggi non è ancora stata identificata.
La ricerca qui presentata ha dimostrato che tumori con mutazioni nel gene LKB1, anche in presenza di mutazioni del gene KRAS, pur essendo forme tra le più aggressive di cancro del polmone, sono sensibili al trattamento con farmaci che inibiscono ERK, una proteina che rappresenta uno snodo importante per diversi sistemi che regolano le attività di base e il coordinamento delle azioni delle cellule.
Mediante l’utilizzo di una tecnologia denominata CRISPR-Cas9, che permette di modificare il genoma in maniera molto precisa ed efficiente, in laboratorio sono stati ricreati dei sistemi cellulari con le stesse alterazioni presenti nei tumori umani e si è potuto stabilire che la mancanza di LKB1 determina una vulnerabilità del tumore che può essere sfruttata utilizzando inibitori di ERK. L’efficacia degli inibitori di ERK è stata dimostrata in differenti sistemi, sia in vitro che in vivo, e sono stati chiariti i meccanismi molecolari alla base della risposta osservata in seguito al trattamento. I risultati dovranno essere a questo punto confermati in ulteriori studi preclinici e clinici.
Questo risultato è molto promettente perché sono attualmente in corso sperimentazioni cliniche con i farmaci che inibiscono ERK. La possibilità di utilizzare questi inibitori in questo gruppo di pazienti particolarmente svantaggiati è attraente, considerando che le cellule normali dei pazienti stessi non presentano la mutazione di LKB1 (mutazione presente solo a livello del tumore). In altre parole, le parti dell’organismo non toccate dal tumore dovrebbero essere insensibili al trattamento stesso, con conseguente minore tossicità. I risultati dello studio presentato hanno permesso quindi di identificare delle vulnerabilità in tumori particolarmente aggressivi e ad oggi non trattabili con terapie specifiche e potrebbero portare a identificare nuove terapie efficaci.
Dott.ssa Gloria Manzotti – Menzione
I PSC sono un sottotipo raro e molto aggressivo di Tumore del Polmone non-a-piccole cellule (NSCLC), la forma più comune di cancro del polmone. La loro caratteristica principale è quella di presentare contemporaneamente due componenti istologiche: una ben differenziata ed una altamente indifferenziata con caratteristiche sarcomatoidi. Esistono diverse teorie sull’origine di questi tumori, ma l’idea comune è che le due diverse componenti cellulari non siano indipendenti ma derivino da una iniziale lesione ben differenziata che è poi evoluta in una indifferenziata. Tuttavia, le basi molecolari di questo meccanismo non sono ancora state identificate.
Oltre ad essere uno spunto affascinante per lo studio dell’evoluzione delle lesioni neoplastiche, i PSC sono principalmente un importante quesito clinico. Infatti, nonostante siano istologicamente ben identificabili i pazienti con diagnosi di PSC vengono trattati come “standard” NSCLC, ma l’aspettativa di vita è 4 volte inferiore a quella dei NSCLC. Infatti, queste lesioni sono tendenzialmente insensibili alle terapie standard ed essendo un tumore raro, il basso numero di casi ha fin’ora ostacolato lo studio di terapia mirate. Capire le basi molecolari dell’evoluzione delle lesioni sarcomatoidi nei PSC potrebbe suggerire nuove potenziali terapia in grado di revertire il fenotipo sarcomatoide riducendo così l’aggressività e la resistenza alle terapie standard.
Con questo scopo, abbiamo valutato l’espressione genica di 17 campioni di PSC ed abbiamo identificato una lista di 146 geni che contraddistinguono l’evoluzione verso la componente sarcomatoide. In particolare, questi geni descrivono l’attivazione del programma di Transizione Epitelio-Mesenchimale (EMT) che è caratteristico dei tumori più aggressivi. Questo modello è stato validato in vitro su linee cellulari. La lista di 146 geni è stata poi utilizzata per un approccio di “Drug Repurposing” al fine di individuare farmaci, già utilizzati in clinica per il trattamento di altre patologie, capaci di revertire il fenotipo aggressivo dei PSC. In questo il Dasatinib è stato identificato come il farmaco più promettente, la sua efficacia è stata testata in vitro.
Questa ricerca ha identificato i meccanismi molecolari alla base dell’evoluzione dei PSC, ma ha anche suggerito una possibile terapia basata su un farmaco già in uso nella pratica clinica. Per questo motivo riteniamo la presente ricerca di grande interesse sia per l’ambito della biologia molecolare di base che per il potenziale impatto nella gestione di questo raro ed aggressivo tumore. Inoltre, riteniamo di grande rilevanza l’approccio scientifico applicato che ha permesso di ottenere dati robusti e realistici partendo da biopsie, dai quali sono nate delle ipotesi che sono stata validate in vitro e che hanno portato all’identificazione di una possibile terapia immediatamente applicabile alla pratica clinica.
Dott.ssa Federica Isidori – Menzione
Il tumore al seno (BC) è determinato da varianti di predisposizione familiari nel 5-10% dei casi, di cui un terzo è attribuito a mutazioni ereditarie nei geni BRCA1 o BRCA2. Nonostante negli ultimi anni numerosi altri geni siano stati identificati come fattori predisponenti per l’insorgenza di BC, quasi la metà dei casi ereditari rimangono ancora inspiegabili.
La ricerca di nuovi loci predisponenti per il tumore al seno è quindi un obiettivo di estrema importanza, per permettere alle donne portatrici di entrare in programmi di prevenzione adeguati, ampliando i benefici della valutazione genetica.
Il nostro lavoro si è concentrato sulla ricerca di nuovi geni predisponenti il BC a carattere ereditario utilizzando un approccio Whole Exome Sequencing, ossia il sequenziamento dell’intero esoma in 3 coppie di cugine di primo grado affette da BC. Questa analisi ha identificato due nuovi promettenti geni, ROS1 e RASAL1. Abbiamo ampliato lo screening in 131 pazienti, identificando varianti rare o nuove con una frequenza significativamente più alta rispetto ai controlli della popolazione in questi geni. Sulla base di questi risultati ipotizziamo che ROS1 e RASAL1 siano due geni di predisposizione interessanti, le cui varianti nella linea germinale incrementino il rischio di sviluppo del tumore al seno. È la prima volta che questi geni vengono proposti come predisponenti al BC, ponendo dunque le basi per espandere il numero dei geni noti associati al BC a carattere ereditario negli attuali pannelli genetici e di conseguenza aumentare il potere diagnostico dei test genetici nelle famiglie predisposte al BC. La prevenzione, la diagnosi precoce e quindi la riduzione dei costi sociali associati al BC è una priorità del sistema sanitario.
Individuare nuovi geni predisponenti si traduce in una migliore capacità di rilevare donne ad alto rischio ereditario di BC, offrendo una grande opportunità di adottare azioni di sorveglianza e prevenzione mirate, in un’ottica di medicina personalizzata.
Inoltre, rilevare una variante patogena in una famiglia permette anche di identificare i parenti che non l’hanno ereditata: queste donne, che solitamente sono incluse in una sorveglianza intensificata basata sulla storia familiare, eviteranno quindi esami non necessari, con benefici in termini di rassicurazione per la persona e riduzione dei costi per il sistema sanitario.
Non da ultimo, l’identificazione e la conoscenza dei geni e quindi delle vie biochimiche alterate nel BC è fondamentale nello sviluppo di nuovi agenti farmacologici che possano andare a colpire la proliferazione cellulare e la progressione del tumore.